sabato 5 maggio 2012

N°1 - MAGGIO 2012

Riforma del Mercato del lavoro: c'è solo il rigore e scompare il futuro soprattutto per giovani e precari 
di Alessassandro Rampiconi 


Spagna, Gracia e Portogallo
di Fabrizio Ricci 

Stangata sui permessi di soggiorno
di Michela della Croce


Art.18: togliere a tutti per non dare a nessuno
di Marco Vulcano

Lo fanno per i giovani
di Marco Vulvano 


Donne: Tra lavoro e Famiglia 
di Laura Ricci 


Agenzie per il lavoro: obiettivo profitto
di Valeria Masiello.




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Riforma del mercato del lavoro: c'è solo il rigore e scomapre il futuro soprattutto per giovani e precari

di Alessandro Rampiconi  Centopassi N 1 Maggio 2012


Quando si è insediato come Presidente del Consiglio, Monti ha introdotto il trittico rigore-equità-crescita. Per il momento abbiamo visto solo il rigore, dell’equità e della crescita neanche l’ombra. Le recenti riforme presentate dall’esecutivo chiedono soltanto sacrifici ai lavoratori dipendenti senza un minimo di giustizia sociale e senza creare un posto di lavoro in più. Dentro questo quadro la crisi continua e continuano a pagarla i soliti noti, con un costo altissimo per i giovani ed i precari. A questo proposito è intervenuto su rassegna.it il Professor Michele Raitano, ricercatore di Politica Economica all’Università La Sapienza di Roma, il quale definisce così la riforma del mercato del lavoro: "Incoerente, contraddittoria, ma soprattutto senza un minimo di attenzione per i giovani. Parlare di rigore va bene, ma definire equa questa riforma davvero non ha senso". Una proposta, quella dell'esecutivo, che va letta insieme a rimodellamento delle pensioni. Il cerchio si chiude con meno tutele per molti e senza interventi concreti sulla flessibilità selvaggia. Ma quello che colpisce è che, al contrario di quanto si è voluto far credere, per i giovani non si è fatto nulla”. Come CGIL di Terni, partendo proprio da quest’analisi, pensiamo di dedicare un pezzo della mobilitazione in modo particolare al tema delle politiche giovanili con iniziative e strumenti specifici che vogliamo costruire sulla base della partecipazione delle giovani compagne e dei giovani compagni iscritti alla nostra Organizzazione. Una mobilitazione necessaria per rispondere all’accanimento del Governo: prima tolgono alle giovani generazioni persino la possibilità di calcolarsi l’anno della pensione, in quanto il diritto sarà legato alla speranza di vita senza più alcuna certezza sulla maturazione, poi non si fa nulla per cancellare la precarietà e per garantire la continuità del reddito. Anche i piccoli passi fatti nella giusta direzione non sono sufficienti a dare risposte; infatti, è inutile alzare la contribuzione dei contratti precari se non si interviene sui periodi di non copertura contributiva dei lavoratori e soprattutto se non si sconfigge il rapporto inversamente proporzionale che c’è tra precariato e diritti. Così come rimane una mera enunciazione di principio quella di rendere l’apprendistato il “contratto prevalente” per l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, quando permangono tutte le altre forme di lavoro precario. In questo senso è interessante leggere i dati nella provincia di Terni: tra il 2010 e 2011 sono diminuiti i contratti a tempo indeterminato (-921%) ma anche a tempo determinato (-356%) e il citato apprendistato (-109), contemporaneamente sono aumentati il lavoro interinale (+286%) e il lavoro intermittente (+963%). Tutto questo per dimostrare che il poco lavoro che c’è a Terni vede anche una fortissima precarizzazione e tra i contratti l’apprendistato è uno dei meno richiesti, quindi per renderlo prevalente bisogna sicuramente fare cose più concrete. Serve una seria lotta alla precarietà e una reale estensione degli ammortizzatori sociali laddove, invece, si è compiuto un vero e proprio massacro: si è tagliato drasticamente a chi poteva essere coperto da ammortizzatori anche per quarantotto mesi senza prevedere la copertura ai precari, giacché per accedere alla nuova assicurazione sociale per l'impiego (ASPI) c’è bisogno di una continuità di impiego e contributiva che di fatto taglia fuori tutti i lavoratori atipici. E’ indispensabile estendere l'indennità di disoccupazione a tutti coloro che oggi ne sono esclusi, come chiedono I Giovani Non + disposti a tutto, così come è necessario estendere le tutele. Il diritto alla maternità e paternità, il diritto alla malattia intesi come diritti universali e garantiti a tutte le tipologie di lavoro. Considerando che esiste già una sorta di salario di ingresso dei giovani, anche in questo caso è utile fare esempi concreti; sempre a Terni, se guardiamo il monte salari dei lavoratori INPS scopriamo che gli under 35 percepiscono in media 388 euro in meno rispetto agli over 35. Insomma, su giovani e precarietà c’è molto da fare e come CGIL abbiamo l’ambizione di far ricomparire nella riforma del mercato del lavoro il diritto ad un futuro.

Spagna, Grecia e Portogallo

L’attacco al lavoro in atto anche negli altri Paesi Europei

di Fabrizio Ricci  Centopaasi N 1 Maggio 2012 



Hanno tanti aspetti in comune le riforme del lavoro recentemente varate in Spagna, Portogallo e Grecia. Riforme che richiamano, in qualche modo, anche il modello di mercato del lavoro che alcuni vorrebbero proporre in Italia. Lo spiega bene in un approfondimento, pubblicato recentemente nel "taccuino", Ornella Cilona, della Cgil nazionale. Per quanto riguarda la Spagna, il governo di centro destra, guidato da Mariano Rajoy, ha approvato nei primi giorni di febbraio un disegno di legge contro il quale il Paese è sceso in sciopero generale lo scorso 29 marzo. Quattro i punti più importanti della riforma; è introdotta un'unica forma di contratto a tempo indeterminato nelle aziende con meno di 50 addetti, prevedendo, contemporaneamente una totale liberalizzazione dei licenziamenti nelle piccole e medie imprese. E' inoltre introdotto il divieto di assumere un lavoratore per più di due anni a tempo determinato. L'indennità di licenziamento è ridotta da 45 a 33 giorni per ogni anno di lavoro nell'azienda. La riforma prevede, inoltre, che in caso di crisi le imprese possano derogare dagli accordi collettivi di categoria, modificando a proprio piacimento mansioni, orari di lavoro e retribuzioni. Oltre a ciò, i contratti di impresa prevarranno su quelli nazionali o regionali, che alla loro scadenza saranno validi solo per altri due anni.
Le aziende che chiameranno a lavorare un disoccupato di meno di 30 anni riceveranno agevolazioni fiscali per tremila euro, con la possibilità di utilizzare il primo anno il 25% dell'indennità di disoccupazione del giovane per integrare il suo stipendio. Inoltre, le imprese che assumeranno disoccupati potranno usufruire di uno sconto di 3.600 euro l'anno per un triennio sul versamento dei contributi previdenziali se la persona assunta ha meno di 30 anni e di 4.500 se ha oltre 45 anni ed è disoccupato di lunga durata. Il Portogallo, un altro governo di centro destra, guidato da Pedro Passos Coelho, ha siglato con l'associazione industriali e con un sindacato (la Ugt) un accordo per la riforma del mercato del lavoro che l'altro sindacato portoghese (Cgtp) ha definito “un ritorno al feudalesimo”. Per i lavoratori portoghesi vi saranno d'ora in poi tre giorni di ferie annuali in meno. Inoltre, l'indennità di licenziamento è ridotta da venti a dodici giorni per ogni anno di lavoro, mentre l'indennità di disoccupazione sarà corrisposta per un periodo massimo di 18 mesi. Le aziende hanno la facoltà di far lavorare i propri dipendenti fino a un massimo di 150 ore l'anno in più senza retribuzione quando c'è un picco di attività. Contro la riforma nel Paese si sono svolti due scioperi generali, l'ultimo il 23 marzo. In Grecia l'analisi è molto semplice: il nuovo pacchetto di austerity varato dal governo di unità nazionale, guidato da Lucas Papademos, prevede una drastica deregolamentazione del mercato del lavoro e la diminuzione del 20% del salario minimo.





Stangata sui permessi di soggiorno


Le nuove norme varate dal Governo rendono ancora più difficile l’integrazione

di Michela Della Croce  Centopassi N 1 Maggio 2012

Il “fenomeno” immigrazione non è più un “fenomeno” da un pezzo ma è diventato una situazione strutturale della nostra società, in cui la multi etnicità è ormai la sua principale caratteristica nonché una sua importante  risorsa. Un dato soprattutto fotografa questa dimensione, in Italia il 5,5% del PIL nazionale è prodotto da imprese costituite da immigrati che concorrono a far crescere la nostra economia operando in vari settori produttivi: dall’edilizia che è il principale ambito di attività, ai servizi alle imprese e alla persona, al commercio. Un contributo, quello dato dall’immigrazione all’economia nazionale che, però, non viene ancora riconosciuto per il suo reale valore ma pensato con vecchie categorie di giudizio ancorate a pratiche discriminatorie che pesano in maniera insopportabile sulla realizzazione di un vero processo di integrazione, invece necessario ed urgente per ascrivere definitivamente la multietnicità come peculiarità della società italiana del nuovo millennio. Tutto ciò non è ancora possibile a fronte delle nuove norme varate dal governo in merito all’ottenimento e alla gestione burocratica dei permessi di soggiorno. Infatti, queste prevedono una vera e propria stangata nei confronti dei richiedenti che verranno gravati di un aumento, rispetto al passato, delle tariffe e imposte varie di ben 200 Euro. Non solo, le direttive che regolano il nuovo procedimento di integrazione sono state artatamente e chiaramente studiate per creare intorno al “fenomeno” una robusta cintura di sicurezza sostenuta da rigide regole il cui mancato rispetto, sancito da un “punteggio” che deve obbligatoriamente raggiungere la quota di 30 punti, anche se parzialmente raggiunto, prevede in ogni caso l’espulsione dal territorio nazionale. La stangata a carico dei richiedenti il permesso di soggiorno, inoltre, andrà a costituire un fondo a sostegno delle spese previste nel “processo di integrazione” concernenti principalmente l’attività burocratica e per la sicurezza, spese di espulsione incluse, cosicché i richiedenti in regola nel rispetto delle norme previste finanzieranno le espulsioni di coloro che non lo sono




Art.18: togliere a tutti per non dare a nessuno





Perché rendere tutti licenziabili favorirebbe i giovani precari? Nessuno lo spiega

di Marco Vulcano Centopassi N 1 Maggio 2012





Periodicamente la politica non trova di meglio da fare che lanciare l’ennesimo attacco ai diritti del lavoro e puntualmente si torna a parlare dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ultimamente va di moda la storiella secondo cui l’art. 18, che obbliga (obbligava?) le imprese al reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa, sia alla base dell’ipotetica – e fantomatica – guerra generazionale tra padri e figli: una contrapposizione tra garantiti e non garantiti in cui per dare agli uni bisogna necessariamente togliere agli altri. Ma un punto non è chiaro: perché si farebbe un favore ai giovani precari rendendo licenziabili senza giusta causa tutti i lavoratori? Qual’ è il nesso tra le due cose? Nessuno lo spiega, anzi. Di certo c’è che abolire – o ridimensionare – l’art.18 significa non solo toglierlo o indebolirlo a chi ce l’ha, ma negarlo o ridimensionarlo anche a chi domani avrebbe potuto averlo. L’eliminazione dell’obbligo di reintegro in caso di licenziamento ingiusto potrà, infatti, determinare un processo di progressiva “rottamazione” dei lavoratori – magari quelli più scomodi, che contestano o rendono un po’ meno poiché fisicamente meno dotati  – e la loro sostituzione con lavoratori più “convenienti”, senza diritti e disposti a tutto. Così tutti i lavoratori, vecchi, giovani, donne, uomini, precari, somministrati, saranno più deboli, usati come merce e gettati quando non serviranno più all’azienda. Ma c’è di più. L’art. 18 è anche un utile strumento di lotta alla precarietà a disposizione del sindacato – e del giudice – nei confronti dell’impiego di forme illegittime di lavoro atipico. Una volta che un contratto sia giudicato illecito può essere convertito in un contratto a tempo indeterminato e la scadenza del contratto atipico viene considerata alla stregua del licenziamento illegittimo, ove l’art. 18 impone il reintegro. Ora, molto probabilmente, non sarà più così. Senza l’art. 18 tutti vedranno peggiorare la propria condizione. In primis i precari.